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Candidati Oscar Flow e Il robot selvaggio: i significati

Il flusso del cambiamento passa per il cinema

Fra i candidati Oscar 2025 per il miglior film animato, due centrano le tematiche proprio degli ultimi articoli che ho scritto. Le narrazioni sul rapporto tecnologia – natura si stanno moltiplicando anche nella cultura mainstream, a quanto pare. Non sono più soltanto oggetto dell’astruso filosofare mio e di un ristretta cerchia di gente altrettanto ossessionata, posso felicemente asserire. Ed è tutto merito del cinema, che da ormai 130 anni espande le nuove frontiere del pensiero ben oltre l’élite intellettuale da cui nascono.

Una diffusione non tanto “a macchia d’olio”, quanto simile ad un flusso, difficilmente prevedibile ed in continuo mutamento. Ad essere dominata dall’indeterminismo è soprattutto la sensibilità e ricezione delle persone rispetto ai significati veicolati. Anche se, in questo caso, una giusta eco ansia, unita alla percezione massificata di vivere in un mondo interconnesso, devono aver catalizzato il processo.

Nomination Oscar Flow: quando i protagonisti sono gli animali

Il “flusso” (in inglese flow) risulta centrale nel conflitto narrativo che porta avanti la storia di Flow – Un mondo da salvare. Ciò è abbastanza ovvio dal titolo… cosa rappresenti la forma assunta concretamente dal concetto per tutta la durata della pellicola, invece, lascia spazio alla speculazione. Una grande inondazione, la quale minaccia alcuni animali appartenenti a specie diverse, spingendoli a mettersi in salvo a bordo di una zattera, dove dovranno convivere. Tutto in un mondo dove la civiltà sembra essere sparita.

Io personalmente ci ho rivisto il racconto biblico del diluvio universale, dove però la divinità che punisce l’uomo sarebbe la Madre Terra. Ella offrirebbe, allo stesso tempo, la possibilità per le creature innocenti di salvarsi, come si può intuire in alcune che strizzano l’occhio al mistico. Al di là di teorie simili, basta guardare alla sceneggiatura per comprendere un recente cambiamento nel concepire la realtà, di cui la pellicola si fa portavoce.

GATTO

Miao

CANE

Bau

Un esempio esemplificativo dei “dialoghi” riportati sottoforma di sceneggiatura.

Esattamente: non c’è l’ombra di dialogo, almeno per come lo concepiamo di solito. Gli unici elementi riconducibili alla nostra specie sono i resti della civiltà, che ogni tanto appaiono sullo sfondo. Eppure, non sembra di vedere una docu-fiction, e nemmeno un cartone disney con animali completamente antropizzati. Certo, può risultare lento, e a tratti la componente dell’antropizzazione si fa comunque moderatamente sentire. Ma le componenti per definirla un’opera cinematografica degna di questo nome ci sono.

Tale riuscita secondo me è dovuta, oltre ai suoi meriti intrinseci, al passaggio da un focus antropocentrico, incentrato sull’umano, ad uno post-umanista. Sul sito ho già parlato del cambio di paradigma in atto nella nostra epoca. Grazie ad esso ci si rende conto di aver sopravvalutato nel passato la differenza fra homo sapiens e gli altri esseri viventi. Conseguentemente, al posto di dare il giusto valore alla loro sofferenza, desideri, e benessere, si attribuiva alla persona umana il diritto di distruggere e sfruttare l’ambiente. Finché poi le azioni di superbia non hanno cominciato a ritorcersi contro chi le ha commesse, dimostrando la nostra vulnerabilità e dipendenza dall’ecosistema.

Il film vuole ricordarci di far parte dello stesso flusso, il quale può straripare e annegare chiunque, se viene alterato.

Nomination Oscar Il robot selvaggio: dove il naturale diventa artificiale e viceversa

Il favorito alla critica per la vittoria attualmente è Flow stesso; tanto per andare oltre il parere popolare, il mio è un altro. Il robot selvaggio ricorda WALL-E e capolavori animati del suo calibro, e già per me basterebbe a vincere chissà quante statuette ad Hollywood. Ma non finisce qua. Il robot di turno finisce per errore ad interfacciarsi con la fauna selvatica di una foresta, al posto di servire lo scopo di chi l’ha creato. Le relazioni che sviluppa con le forme di vita biologica lo porteranno a sfidare la sua programmazione, e anche quella della società futuristica che lo ha inventato.

Ancora una volta i confini delle categorie con cui dividiamo il mondo si fanno confuse. Superate da una macchina divenuta umana a livello superiore delle minacciose entità che l’hanno creato, misteriosamente lontane ed intraviste solo in poche scene. Raggiunto un obiettivo del genere, il quale capovolge il fine transumanista di trascendere l’essenza corporea attraverso implementazioni artificiali, il suo viaggio continua. Aiutare i sapiens a coesistere con con il resto dei viventi diventa la sua missione. Un’ideologia in particolare ne condivide il proposito, di cui il postumanismo costituisce la base: il solarpunk, avrete subito intuito. Beh, almeno, se avete letto i precedenti articoli al riguardo.

Il superamento del capitalismo come sistema incentrato su una produzione sconsiderata, noncurante nei confronti dei problemi creati alla natura, è la sua visione economica. Lungi dall’idea post-capitalista, tuttavia, rallentare il progresso scientifico. Da un lato bisogna canalizzarlo entro dei limiti, e dall’altro rilanciarlo tramite un’idea di bene inclusivo, qualsiasi siano i geni nel DNA. Qui ci stiamo spostando sul fronte accelerazionista, di cui parlerò prossimamente.

Augurando ad entrambi gli esempi di cinema d’animazione il meglio agli Oscar 2025, vi saluto. E se non avete avuto modo di prenderne visione, siete ancora in tempo per rifarvi gli occhi prima delle premiazioni!

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