Il meme, media della postmodernità

È da mesi che volevo scrivere di questo argomento, e ora, poco dopo essermi trasferito a Torino per l’università ho deciso di portarvelo (al fondo dell’articolo scoprirete come mi è tornato in mente e cosa c’entra la città). Sì perché alcune persone mi avevano già consigliato di farlo, per poter parlare di un esempio famosissimo di metamodernismo applicato alla nostra cultura. Parlo dei meme, quei media umoristici in cui ci si può facilmente imbattere sui social oggigiorno, e che personalmente adoro, anche se preferisco  gli sticker di Whatsapp… (i quali secondo le definizione offerta da questo saggio, su cui ho basato ciò che state leggendo, sarebbero essi stessi dei meme).

Anche se il meme più vecchio della storia, o almeno noi adesso lo potremmo chiamare così, risale ad un secolo fa, il primo ad utilizzare questo termine è stato Richard Dawkins (il celebre biologo che ce l’ha con l’idea Dio, di cui avevo già parlato precedentemente) nel suo libro The Selfish Gene del 1976, in cui paragona la cultura umana all’evoluzione biologica, basata su entità in grado di replicarsi. Per gli organismi viventi questi sono i geni, per la società i meme culturali (tanto che il metamodernismo in sè è definito un “meta-meme” da Hanzi Freinacht). Un particolare tipo di questi ultimi, meno astratti, sono appunto i meme di internet che tutti noi conosciamo.

Il primo “meme” della storia, 1921.

Essi cominciano a diffondersi negli anni 90, insieme al metamodernismo, di cui concretizzano l’ironia ma anche l’autocoscienza e la consapevolezza di vivere in un mondo ricco di significato, per poi conquistare in ordine cronologico Memepool, Youtube e Facebook, Instagram e infine TikTok. Man mano che diventano sempre più complessi, negli ultimi anni incominciano a scherzare anche su argomenti pesanti o filosofico-esistenziali, sinceri, per dirla con il linguaggio che ho utilizzato nel descrivere il cinema Quirky tempo fa.

Addirittura la storia recente è stata influenzata da questi “quanti” di cultura (come i minuscoli “pacchetti” di energia della fisica), ad esempio nel 2016 quando hanno praticamente trainato la campagna elettorale di Donald Trump e il suo “Make America Great Again” (fu vera gloria? ai posteri dell’era Biden l’ardua, ma non troppo, sentenza…).

Inoltre, possono costituire un modo per creare una forma di unione fra le persone, con effetti positivi sulla psiche (vedi i casi citati nel saggio di prima) in una società divisa e appestata come non mai dalla depressione, in parte proprio a causa dell’isolamento da parte dei soggetti sulle stesse piattaforme dove i meme circolano. Non stupisce che riguardino molto più di un tempo, fra gli argomenti seri di cui parlavo, la malattia mentale e i suoi effetti.

È con questa riflessione che vi vorrei lasciare: possibile che il metamodernismo con la sua missione etica di creare un mondo migliore, attecchendo sui social, abbia creato qualcosa in grado per lo meno di lenire gli effetti negativi del loro abuso? Io sono convinto di sì.

Il mio meme torinese. Si tratta della statua davanti a Palazzo Nuovo, sede delle discipline umanistiche dell’Università di Torino, mi ha fatto pensare a tutti gli scleri cercando di trovare le varie informazioni sul suo sito. 🤣

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