Spesso, forse troppo spesso, mi accorgo di non essere con la testa nel momento in cui sono fisicamente, un po’ di sana mindfulness non mi farà certo male… a volte mi ritrovo nel futuro, con la sua consistenza onirica e sempre in mutamento (come l’indeterminismo filosofico e la nostra ignoranza su ciò che sarà ci mostrano); altre nel passato, che invece sembra così vivido e reale, come se i ricordi fossero tante fermate di un treno fra le quali posso spostarmi, per fare l’ennesima metafora del viaggio.
Vista la sezione del blog in cui siamo, però, sarebbe meglio immaginare un grande maxischermo dove viene proiettato l’unico film che io stesso ho girato: la mia vita. Sarà anche il solo che abbia rivisto così tante volte, analizzandolo a fondo per capire cosa avrei potuto fare meglio, con un occhio in particolare sugli altri attori e la trama.
In questa analisi minuziosa, alcune parti le salto proprio perché avrebbero bisogno di tanta postproduzione, se capite cosa intendo… su altre invece mi ci si soffermo perché le ritengo importanti, ricche di significato, o semplicemente mi rendono felice. Fra queste ce n’è una in particolare che vorrei guardare insieme a voi, per introdurvi a quello che spero sia il primo di una lunga serie di opere cinematografiche a cui ho preso parte.
La scena, lunga una settimana (come avrete capito è un film piuttosto lungo), ha luogo presso un hotel di un paesino in montagna a qualche kilometro da Trento nel luglio 2021. Loris si è recato lì assieme ad altri ragazzi provenienti da diverse città per prendere parte ad un campo estivo organizzato dell’associazione di cinema e recitazione Zuccherarte di Genova, durante il quale verranno divisi in squadre e ognuna imparerà le varie fasi della produzione nel cinema realizzando un cortometraggio.
Sono giorni appaganti per lui, forse perché sente di vivere una vita a parte, una vita che non manca quasi di nulla, con vari amici e uno scopo da realizzare per cui lavora ogni giorno. Alla fine, il risultato è un corto di 3 minuti che ricorda la corrente espressionista e vagamente Il settimo sigillo (qui si può visionare l’ultima parte). Il suo significato, per quanto preciso agli occhi di Loris, può essere interpretato soggettivamente da chiunque lo guardi, e infatti susciterà pareri discordanti a chi lui ne farà prendere visione. Qui però siamo già in una scena successiva, quando quella settimana passata fuori da casa, in mezzo alla natura, con tante idee in testa, è già passata.
Sì, la figura ammantellata che si vede alla fine è impersonata da me. Come ho detto prima, ognuno potrebbe dire la sua, chi al pari mio ha seguito passo dopo passo la realizzazione della sua opera sa però cosa vuole trasmettere.
In questo caso, tutto ruota attorno ad una domanda: quanto siamo veramente liberi? Infatti all’inizio vediamo delle persone immobili animarsi una dopo l’altra muovendosi su un prato, mentre strane ombre sopra la loro testa ne precedono le azioni. Scopriamo poi che tutto ciò si tratta in realtà di un gioco da tavolo dove le pedine di colore diverso (da cui COLORACE, la gara dei colori), ovvero i ragazzi con le maglie monocromatiche, sono mosse dell’entità misteriosa presente poco prima dei titoli di coda.
Attraverso l’unica battuta del corto (“vinto!”), essa fa vincere una delle pedine, mentre altre addirittura vengono fatte cadere sul tabellone da quella che le supera. La simbologia, una volta data questa spiegazione, è evidente: la figura rappresenta tutte quelle circostanze e realtà che limitano la capacità di autodeterminarci nella nostra vita, come la società e le sue limitazioni, la morte, le nostre stesse scelte, fino ad arrivare, per chi ci crede, a Dio. Perciò da questo punto di vista siamo simili a pedine sotto la loro influenza.
Un altro quesito che possiamo porci, arrivati a questo punto, è la natura morale della creatura, il suo allineamento, per dirla alla d&d. Da questo è nato un vero e proprio dibattito all’interno del mio gruppo mentre stavamo per girare le scene nelle quali c’ero io. L’opinione che ho portato avanti teneva conto di tutti i vari significati attribuiti ad essa per arrivare a delinearla come complessivamente neutrale.
Se alcuni sono sicuramente negativi (la malattia, per dirne uno), altri tendono a migliorarsi con il tempo (come alcuni aspetti della società umana), altri ancora sono per lo più positivi, non solo per altro, ma anche proprio perché limitano la nostra libertà. Qui si potrebbe parlare a lungo del paternalismo e delle sue varie forme, alcune delle quali sostengo siano necessarie per evitare conseguenze gravi e permanenti per il benessere di alcune persone.
Più curioso e vicino alla quotidianità è invece ciò che si potrebbe dire delle scelte di tutti i giorni, anche solo per un prodotto al supermercato. Lo psicologo Barry Schwarts ci parla di “paradosso della scelta” nel suo libro omonimo, che ci spiega come nella nostra moderna cultura occidentale nonostante abbiamo una grande libertà il nostro benessere non aumenta per questo, ma anzi è messo in pericolo dall’indecisione che ne deriva e dall’insoddisfazione al pensiero di aver potuto ottenere di meglio scegliendo diversamente. Il mio personaggio del corto è quindi sicuramente complesso e animato da intenzioni differenti, forse anche contraddittorie fra loro.
Quello che avete letto è uno degli articoli più complessi che abbia scritto fino ad adesso. Sono partito dal mio rapporto con il tempo per arrivare a ricordare un’esperienza in particolare e parlarvi di cosa è nato da essa, passando poi ad una possibile interpretazione del suo significato. Spero vi sia piaciuto e soprattutto vi abbia fatto riflettere sui punti che ho toccato e, magari, anche su altro.
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