“Ho trovato il senso della mia vita aiutando gli altri a trovare il significato della propria.”
Viktor Frankl
Quando all’inizio della pandemia tutto ad un tratto mi sono trovato chiuso in casa per mesi, senza peraltro sapere come passarli, ho dovuto inventarmi un modo per dare un senso a tutte quelle giornate infinite e tutte uguali l’una all’altra. Avevo già da un po’ manifestato un interesse per le conoscenze alla base della formazione di tutte le persone nella mia vita che in un modo o nell’altro cercavano di aiutarmi e con cui sentivo maggiore affinità, quindi ho usato quel tempo per incominciare a informarmi…
Oggi, a quasi due anni di distanza, guardandomi indietro posso di dire di aver visto quasi tutti i documentari che trovavo su questi argomenti e aver letto numerosi libri sulle scienze umane, soprattutto psicologia, trovando un hobby in questo, proprio ciò che mi serviva dopo aver avuto per tutta la vita solo qualche curiosità qua e là su vari ambiti.
Di tutti questi autori dei quali ho avuto il modo di conoscere le opere, un nome in particolare risalta su tutti per la curiosità e le emozioni che mi ha suscitato: Viktor Frankl (1905-1997), neurologo e psichiatra austriaco, nonché fondatore della logoterapia e dell’analisi esistenziale.
Di lui ho letto le sue due pubblicazioni principali: Uno psicologo nei Lager, che parla in maniera approfondita del suo periodo di deportazione nei Lager nazisti e delle sue riflessioni alla luce della propria teoria dell’uomo alla ricerca di senso (un senso che una persona può trovare anche in mezzo ad orrori simili e può spingerlo a superare di tutto) e Ciò che non è scritto nei miei libri, di cui parlerò nel resto dell’articolo.
Il libro ripercorre tutti i 90 e passa anni vissuti da Viktor, intrecciati con gli avvenimenti storici del Novecento, riferendosi al proprio pensiero. Una lettura che diventa una profonda analisi esistenziale, culminante con la consapevolezza di niente poco di meno del significato della sua vita, come è riportato dalla frase all’inizio dell’articolo. Di tutto il suo viaggio in questo mondo, pieno di domande di senso a cui rispondere, vorrei riportare due episodi che mi hanno colpito particolarmente e riescono secondo me a delineare bene la persona che era.
Il capitolo 24 ha come sfondo il 1946, quando egli era già tornato a Vienna, e parla di come si sia scagliato contro il concetto di “colpa collettiva” che gli altri Paesi attribuivano al popolo tedesco per i crimini contro l’umanità compiuti. Lo “psicologo nei Lager” lo ha fatto ricordando a molte delle sue conferenze la storia del capo dell’ultimo in cui è stato, una SS che si sarebbe scoperto poi avesse agito prima e dopo l’arrivo delle truppe americane nell’interesse diretto dei prigionieri, ad esempio comprando con i propri soldi molti medicinali per gli internati.
Nel 1988 davanti a migliaia di persone ribadirà il fatto di non odiare nessuno, non sapendo chi avrebbe dovuto odiare in particolare visto che non conosceva bene i colpevoli e rifiutandosi di indicarli collettivamente. Possono esistere infatti solo colpe individuali per ciò che ognuno ha fatto, e questo è l’unico ragionamento che ci può distanziare dagli stessi nazisti, impedendoci di ricadere nei loro errori. Penso che una considerazione simile sia da far propria anche oggi, quando si è tentati di attribuire ad un popolo o ad una cultura le responsabilità per quello che solo una minoranza facente parte ha compiuto.
Il capitolo 32 racconta un’altra storia ripresa spesso da Viktor nelle sue conferenze: una volta una donna gli telefonò alle 3 del mattino comunicandogli che aveva appena deciso di togliersi la vita. Egli le elencò tutti gli argomenti a sfavore del suicidio, discutendo con lei dei pro e contro fino ad ottenere la sua parola che avrebbe accantonato il suo proposito fino a quando non avrebbero avuto modo di parlarne meglio il giorno dopo da lui.
La donna appena arrivata all’appuntamento disse di aver ritrovato la volontà di vivere non tanto per le discussioni fatte assieme al telefono, ma grazie a questo pensiero: un uomo svegliato in pieno sonno mi ha ascoltato per una buona mezz’ora cercando di persuadermi per il mio bene, e se questo può succedere, allora “forse vale davvero la pena di dare un’altra chance alla vita”. Dopo aver letto questo una sensazione di pura gioia mi ha invaso. Penso di aver ritrovato in quelle poche righe il senso di tutto quello che vorrei fare nella mia vita, del perchè studiare per diventare educatore, del perché ho letto tutte queste cose… grazie ad una persona come il protagonista di questo libro.
Io nella vita voglio fare il Viktor Frankl, e tu?
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